Scarica il documento “Pastoralism and the Green Economy – A natural nexus?” (pdf, 5,2Mb) edito da Iucn e Unep all’interno del progetto Wisp (World Initiative for Sustainable Pastoralism)
“La pastorizia è praticata su più di un quarto della superficie terrestre, tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli poveri, e contribuisce in maniera significativa sia alla produzione alimentare di qualità che alla tutela dell’ambiente”. È quanto ratificato, per grandi linee, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel corso della “3a Conferenza Internazionale per Contrastare la Desertificazione” (qui il sito web), svoltasi a Cancun, in Messico, dall’8 al 12 marzo scorsi. In particolare è la pastorizia transumante quella che più di altre forme di allevamento può migliorare la biodiversità del pascolo, ridurre la CO2 e sostenere la conservazione dei grandi spazi naturali non antropizzati. “Vista la sua importanza”, hanno convenuto gli esperti intervenuti, “sarà necessario sostenerne il ruolo strategico nella transizione verso una migliore green-economy globale attraverso un insieme di strumenti e di approcci più adeguati” rispetto a quelli attualmente disponibili, anche “per bilanciare le problematiche generate dagli allevamenti intensivi”.Nel corso delle quattro giornate di lavoro, la pastorizia praticata su pascoli e praterie spontanei è stata al centro di molte tematiche trattate, perché in grado di combattere la desertificazione e di aumentare la capacità del terreno di assorbire la CO2. Al tempo stesso gli allevamenti intensivi sono sempre più fortemente nell’occhio del ciclone, essendo responsabili di un decimo delle emissioni di gas serra globali. Il report “Pastorizia e green economy: un nesso naturale?” realizzato dall’organizzazione no-profit Iucn (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) ha certificato che negli ecosistemi più naturali come le praterie del deserto, le foreste e le steppe, quest’attività è in grado di “mantenere la fertilità del terreno e l’ossido di carbonio nel suolo, contribuendo tanto alla regolazione idrica quanto alla conservazione della biodiversità”. “La pastorizia e le sue pratiche di gestione”, è detto nel documento, “hanno dato luogo ad alcuni degli ecosistemi biologicamente più ricchi del mondo”. “Inoltre”, è stato aggiunto, “la pastorizia è in grado di garantire altri effetti positivi, come la disponibilità di prodotti alimentari di alto valore”, spiegano dall’Unep (United Nations Environment Programme).
“Oggigiorno”, hanno spiegato i responsabili dell’Unep, “la pastorizia è praticata da mezzo miliardo di persone, ed i pascoli, che occupano cinque miliardi di ettari, assorbono dai duecento ai cinquecento chilogrammi di CO2 all’anno per ettaro, giocando un ruolo di primo piano nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Fino al 70% dell’ossido di carbonio contenuto nel suolo verrebbe liberato attraverso la conversione del terreno ad usi agricoli”. Secondo il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite, inoltre, un’ottimale gestione dei pascoli potrebbe consentire di catturare annualmente 409 milioni di tonnellate di CO2, vale a dire il 9,8% delle emissioni di anidride carbonica di origine antropica. Certo, ad osservare il mondo pastorale non si può parlare di un unicum mondiale: una grande differenza è evidente prendendo in esame i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo: mentre nei primi si sta iniziando a comprendere il valore ambientale di quest’attività, in molti Stati ancora poco evoluti, la pastorizia riceve scarsissimi finanziamenti e altrettanto poche risorse. “È accaduto spesso”, rivela il documento dell’Unep, “che politiche di sviluppo inadeguate abbiano indebolito le proprietà terriere e le forme di gestione delle risorse naturali, e che abbiano limitato la possibilità di muoversi degli armenti, negando ai pastori i necessari servizi di base”. Quando i Governi capiranno che la pastorizia “è dalle due alle dieci volte più produttiva – per unità di superficie – rispetto agli allevamenti intensivi”, allora si potrà sperare in qualche cambiamento sostanziale. Il settore zootecnico nel suo insieme ha drammaticamente industrializzato e globalizzato, aumentando l’uso delle risorse naturali come la terra, l’acqua, i nutrienti e combustibili fossili. Mentre negli ultimi anni alcuni sistemi pastorali una volta tradizionali hanno adottato molti dei caratteri dell’intensivo, la maggior parte dei pastori continuano a mantenere un basso profilo dal punto di vista dell’impatto ambientale, del consumo delle risorse e delle produzione colturali. Nella maggior parte degli spostamenti di bestiame, i pascoli stagionali sono visti come una necessità ecologica irrinunciabile anche se le famiglie non sono più transumanti. “In una certa misura”, è stato detto, “i pastori possono essere visti oggi più come agricoltori dell’erba che come allevatori”. Infine, l’aspetto economico e produttivo: lo studio sottolinea come in condizioni sostenibili, la pastorizia ha il merito di mantenere biologicamente diversi pascoli in grado di produrre numerosi prodotti naturali di altissima qualità, la cui domanda è aumentata in questi ultimi anni sul mercato globale. Lo sviluppo di una green-economy all’interno delle regioni pastorali richiede di guardare non solo ai prodotti di evidente derivazione pastorale, come la carne, il latte e a volte le fibre (e i loro derivati, ndr) bensì tenendo nella massima considerazione i diversi e rilevanti benefici ambientali, sociali e paesaggistici difficili da quantificare ma di ben chiaro valore anch’essi. I partecipanti alla conferenza hanno più volte sottolineato anche il crescente fenomeno di un consumo consapevole sempre più diffuso e in grado di apprezzare i diversi valori intrinseci (culinari, nutrizionali e culturali) dei prodotti pastorali, non ultimi quelli etici e ambientali. In questa direzione, hanno sottolineato gli esperti, dovranno andare i diversi sistemi di certificazione etica. L’appello dell’ONU ai Governi mondiali è quindi quello di investire per rafforzare la pastorizia, «dal momento in cui essa», ha sottolineato Achim Steiner, direttore esecutivo dell’Unep, «è molto più in accordo con gli obiettivi della green economy di tanti nostri metodi moderni di allevare gli animali». “Tra le azioni più urgenti da intraprendere”, è stato sottolineato, “c’è in primo luogo la necessità di avvicinare i pastori al mercato, ma anche la necessità di valorizzare gli spazi di mercato che si stanno creando per i prodotti “sostenibili”, e il rafforzamento dei diritti di proprietà che i pastori devono poter esercitare sulle terre”. 23 marzo 2015 |